mercoledì 5 aprile 2017

UNA GIORNATA TRA LE ROVINE DELL'ANTICA MONTERANO

Qualche domenica fa, complice una meravigliosa giornata di sole, sono tornata a Canale Monterano, piccolo borgo in provincia di Roma conosciuto non soltanto per le sue interessanti vicende storiche, ma anche, anzi soprattutto, per la sua vicinanza all'antico feudo di Monterano, una delle città fantasma più famose del Lazio.
E voi, ne avete mai sentito parlare? Se state facendo no con la testa, ecco qualche dritta per organizzare al meglio la vostra visita a ciò che resta di questo autentico gioiellino medievale immerso nel verde. Siete pronti? Partiamo! 😏👻

Benvenuti a Monterano!

Adagiate sulla sommità di una collinetta di tufo posta a cavallo tra i Monti della Tolfa ed i Monti Sabatini, le rovine dell'antica Manturanum sorgono all'interno della Riserva Naturale Regionale Monterano, area protetta dall'estensione di poco superiore ai mille ettari istituita sul finire degli anni Ottanta per salvaguardare uno degli angoli più incontaminati e ricchi di storia della cosiddetta Tuscia Romana.
Caratterizzata da una grandissima varietà di paesaggi ed ambienti naturali, solcati e modellati dal placido scorrere del fiume Mignone, la riserva offre rifugio ad una numerosa popolazione di cinghiali, gatti selvatici, pipistrelli, lepri, istrici e scoiattoli, nonché ad alcune specie piuttosto rare di uccelli, anfibi e serpenti, avvistabili con un po' d'attenzione percorrendo i tre meravigliosi sentieri che la attraversano (segnalati da paletti di colore rosso, giallo e verde).

Segnaletica all'interno della Riserva Naturale Regionale Monterano

Se dal punto di vista naturalistico il territorio che circonda l'antica Monterano può essere quindi considerato uno dei più affascinanti ed intatti dell'intero Lazio (per capire meglio cosa intendo, date un'occhiata a questo suggestivo video della città vista dall'alto: resterete senza parole!), è soprattutto dal punto di vista archeologico che questo piccolo villaggio riserva le sorprese più inaspettate.
Basta infatti incamminarsi lungo uno dei tanti sentieri che conducono all'abitato, per ritrovarsi improvvisamente catapultati indietro di oltre duemila e cinquecento anni, quando la zona era frequentata da popolazioni etrusche il cui passaggio è testimoniato sia dalle molteplici tombe a camera disseminate all'interno della riserva, sia dalla presenza del cosiddetto Cavone, angusta strada scavata nel tufo utilizzata dai primitivi abitanti del villaggio per raggiungere la vallata sottostante.
Lo stesso nome Monterano sembra d'altra parte derivare da quello della dea etrusca Manturna, sposa del dio degli inferi Mantrns, successivamente latinizzato in Mantura da cui Manturanum, mentre l'attributo Canale, di origine cinquecentesca, si riferirebbe alla struttura urbanistica della nuova città, sviluppatasi per l'appunto attorno ad un "canale" centrale.

Il sentiero per l'antico abitato di Monterano nei pressi del cosiddetto "Cavone"

Assoggettata ai Romani a partire dal IV secolo a.C., in seguito cioè alla conquista della città etrusca di Veio (storica rivale dell'Urbe per il controllo del basso corso del Tevere), dopo un lungo periodo di crisi e di impoverimento provocato dalla discesa in Italia dei Longobardi, Monterano fu nominata, nel VII secolo d.C., nuova sede episcopale della diocesi comprendente i territori estesi tra il Lago di Bracciano e i Monti della Tolfa, per entrare a far parte dei possedimenti della potente abbazia di San Paolo in Roma intorno agli inizi dell'XI. È probabilmente a questo periodo che risale la costruzione della torre quadrangolare successivamente inglobata nel castello, edificio sorto a scopo puramente difensivo ma trasformatosi negli anni in fastoso palazzo signorile.

Il castello di Monterano, conosciuto anche come Palazzo Altieri; in primo piano, la torre
quadrangolare di epoca medievale

Proprietà degli Anguillara prima e dei Colonna poi, fu infatti col passaggio alla ricca famiglia degli Orsini, avvenuto nel 1492, che cominciò per Monterano una fase di sviluppo economico e crescita demografica senza precedenti, culminata nella sua cessione, intorno alla metà del Seicento, ad Emilio Bonaventura Altieri (salito al Papato col nome di Clemente X), cui sono da attribuirsi sia la ricostruzione che la ristrutturazione dei principali edifici civili ed ecclesiastici della città, primi fra tutti l'imponente palazzo ducale e la chiesa, con annesso convento, di San Bonaventura.
Flagellato dalla malaria e gradualmente abbandonato dai suoi già pochi abitanti, rifugiatisi nei comuni limitrofi di Canale e Montevirginio, il borgo si avviò tuttavia, durante il XVIII secolo, ad un lento ed inesorabile declino, per spopolarsi completamente tra il 1799 ed il 1800 in seguito ai saccheggi perpetrati dalle truppe napoleoniche stanziate sui vicini Monti della Tolfa.

Veduta dal basso delle rovine della città

Ma vediamo nel dettaglio quale itinerario seguire per visitare nella maniera più completa possibile le rovine di questa incredibile città fantasma e gli splendidi ambienti naturali che le fanno da cornice. Gambe in spalla e via, cominciamo! 😏
La nostra passeggiata ha inizio dal Parcheggio Diosilla, uno dei due parcheggi liberi a disposizione dei visitatori della riserva. Partendo da qui e percorse poche decine di metri, una ripida scaletta con gradini in pietra ci conduce subito al cospetto di una delle attrazioni naturalistiche più famose di tutto il parco, vale a dire la caratteristica cascata della Diosilla, piccolo salto d'acqua dalla singolare colorazione rossastra il cui nome sembra derivare da quello di una ragazza, tale Diesella, caduta accidentalmente all'interno di una galleria di scolo durante alcuni scavi collegati allo sfruttamento minerario della zona.

Il tratto di strada che separa il Parcheggio Diosilla dalla cascata

Ammirata la cascata, possiamo a questo punto decidere se risalire la scaletta e proseguire la nostra escursione lungo lo stradone principale, o avventurarci nel cuore della suggestiva Forra della Fossa del Lupo, rigoglioso canyon plasmato nei secoli dal lento scorrere del torrente Bicione, fino a sbucare (in entrambi i casi) in prossimità di un ampio ed arido pianoro avvolto da un fortissimo odore di zolfo.

L'inquietante cascata della Diosilla

Pozze fangose intervallate da grossi pietroni ingialliti, fiumiciattoli bianco latte, arbusti rinsecchiti, polle d'acqua sulfurea che gorgogliano qua e là, e per completare l'opera una bella spolverata di ceneri vulcaniche: è con questo impressionante bigliettino da visita che ci accoglie la solfatara, vasta area mineralizzata situata ai piedi della rupe di Monterano intensamente sfruttata, dalla fine del Settecento agli anni Sessanta del secolo scorso, sia per l'estrazione di zolfo, ferro e manganese, sia per la ricerca di metalli radioattivi come l'uranio e il torio.

Paesaggio lunare nella solfatara di Monterano

Ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze! Visitare la solfatara, infatti, è tutt'altro che pericoloso, a patto ovviamente che non ci si avvicini troppo alle polle sulfuree (l'acqua che ne fuoriesce può raggiungere, in alcuni casi, temperature molto elevate), o non ci si addentri all'interno delle gallerie anticamente utilizzate dai minatori, i cui ingressi, seppur parzialmente nascosti dalla vegetazione, sono ancora oggi ben visibili alla base delle ripidi pareti di tufo che circondano l'area.

Polla d'acqua sulfurea all'interno della solfatara

Attraversato un bel ponticello in legno e lasciatoci alle spalle uno tra i siti geologici più interessanti e meglio conservati di tutto il Lazio, ci incamminiamo dunque lungo uno stretto e ripido sentiero totalmente immerso tra gli alberi, risalendo il fianco della montagna fino a raggiungere uno splendido esempio di tagliata etrusca (il cosiddetto Cavone cui vi accennavo all'inizio del post!).

Ponticello all'inizio del sentiero per l'antico abitato di Monterano

Oltrepassata la gola, attualmente non percorribile in quanto soggetta a rischio frane (vi consiglio pertanto di dare retta ai cartelli ed evitare di scavalcare la recinzione), il percorso prosegue così, tra cespugli aggrovigliati, gradini fatti di tronchi e giganteschi massi di origine vulcanica, per ricongiungersi dopo neppure dieci minuti di cammino con la strada sterrata proveniente dal secondo parcheggio della riserva.

Un tratto del sentiero che dalla solfatara conduce sino alle rovine

Il tempo di fare pochi passi e, ad annunciare finalmente l'arrivo al paese sono i resti di un monumentale acquedotto, costruito a cavallo tra XVI e XVII secolo - e non al tempo dei Romani, come si sarebbe portati a pensare ad una prima occhiata - per canalizzare e trasportare l'acqua del fiume Mignone dal vicino feudo di Oriolo sino alla piana di Monterano. Studi recenti hanno dimostrato come, al di sotto di una delle arcate dell'acquedotto, fosse situata in origine una delle tre porte d'accesso al borgo, andata però distrutta in seguito ad alcuni interventi urbanistici di età barocca; perfettamente conservatosi fino ai giorni nostri è invece il vicino fontanile delle Cannelle, situato sul lato opposto rispetto all'altura che ospita le rovine e anticamente utilizzato dai viandanti per dissetarsi una volta arrivati a Monterano.

Il meraviglioso acquedotto cinquecentesco

Proseguendo per qualche metro lungo la stradina sterrata costeggiante il vecchio abitato, raggiungiamo pertanto Porta Cretella (o Gradella), la più integra delle tre originarie porte d'accesso a Monterano.
Innalzato negli ultimi secoli del Medioevo, questo robusto portale ad un fornice collegava, tramite due rampe di scale ed un'elegante strada lastricata con scaglie di selce e calcare, il pianoro alla base del borgo con la piazza sulla quale si affacciava il castello, ed era utilizzato per lo più come scorciatoia da pellegrini e pastori in cammino verso la valle del Bicione (quella cioè dove si trova la solfatara).

Porta Cretella, una delle tre originarie porte d'accesso al borgo di Monterano

Continuando la nostra salita verso la parte alta dell'abitato, a fare capolino tra un intricato groviglio di rovi, arbusti ed ortiche sono ad un tratto i ruderi della chiesa di Santa Maria Assunta, affascinante edificio databile tra Duecento e Trecento di cui non ci è rimasto praticamente nulla se non il campanile romanico, alto ben 14 metri, e una piccola parte dell'abside, quasi del tutto sommersa dalla vegetazione.
Ristrutturata più volte nel corso dei secoli, a causa di numerosi problemi statici e dei danni provocati dal terremoto che colpì l'area circostante il Lago di Bracciano nel 1695, la chiesa fu definitivamente chiusa al culto intorno alla metà del Settecento, vedendosi sottrarre il titolo di Parrocchiale dall'adiacente chiesa di San Rocco.

Il campanile della chiesa di Santa Maria Assunta, unico sopravvissuto allo scorrere del tempo

Voltate le spalle alla chiesa, a catturare lo sguardo con i suoi massicci torrioni ed il suo elegante loggiato a sei arcate è invece il castello, costruito a più riprese tra XII e XVII secolo e considerato uno dei luoghi simbolo della città perduta di Monterano.
Affacciato su una bella piazzetta arredata con panchine di legno ed interessanti pannelli informativi, fu acquistato nel 1671 da papa Clemente X, che ne affidò il progetto di riqualificazione nientepopodimeno che a Gian Lorenzo Bernini e ad alcuni dei suoi più capaci collaboratori.

Il castello di Monterano

Così, ad occuparsi dell'ammodernamento della facciata della rocca fu l'architetto e scultore Carlo Fontana, mentre il Bernini, sfruttando le fondamenta rocciose sulle quali si ergeva la struttura, vi realizzò alla base una "capricciosissima fontana", sormontata dalla statua di un leone raffigurato nell’atto di far zampillare dalla roccia un getto d'acqua che, sotto forma di piccola cascatella, si riversava poi in una vasca posta più in basso.

L'elegante "Fontana del leone" realizzata dal Bernini
(l'originale è custodita presso il Palazzo Comunale di Canale Monterano)

Rimanendo sulla piazza principale di Monterano ma spostandoci sul lato destro del castello, imperdibile è una visita alla chiesetta di San Rocco, edificata fra XIV e XV secolo come ringraziamento in seguito ad un'epidemia di peste e situata in posizione panoramica rispetto all'acquedotto e a tutta la vallata sottostante.
Affiancato da due piccole cappelle laterali di fattura seicentesca, questo minuscolo luogo di culto era utilizzato inizialmente per officiare messa solo nel giorno dedicato al santo - cioè il 16 agosto - e mantenne questa funzione fino al 1677, quando Angelo Altieri richiese ed ottenne l'autorizzazione a farla demolire. Documenti successivi dimostrano però come la chiesa fosse ancora in piedi, ed addirittura assunse il titolo di Parrocchiale, intorno alla metà del Settecento, continuando ad ospitare funzioni religiose per i pochi fedeli rimasti a Monterano fino al 1819.

Ciò che resta della chiesetta di San Rocco

Aggirato il piccolo granaio attiguo alla chiesetta di San Rocco, cominciamo quindi la discesa verso il vasto pianoro situato ai piedi del borgo, costeggiando i ruderi di vecchie abitazioni ed alcuni tratti abbastanza integri dell'originaria cinta muraria, fino a ritrovarci al cospetto delle rovine di una stupefacente cattedrale barocca, edificata tra il 1675 ed il 1677 dall'architetto Mattia de Rossi su progetto del Bernini ed intitolata a San Bonaventura (in onore di Emilio Bonaventura Altieri).
In asse con il portale d'ingresso della struttura, caratterizzato da una scenografica facciata originariamente sormontata da due slanciati campanili gemelli, è ancora oggi ammirabile una fontana ottagonale (l'originale berniniano è stata trasferito, intorno al 1950, nella piazza principale di Canale Monterano), la cui peculiarità consiste, se osservata da lontano, nel risultare spostata di lato rispetto alla chiesa.

La fontana ottagonale realizzata dal Bernini di fronte alla chiesa di San Bonaventura

Spostandoci sul retro della chiesa, al cui interno è custodito, quasi fosse un tesoro, un pluricentenario esemplare di fico selvatico cresciuto spontaneamente forse proprio dalla calce di vecchi crolli, è invece possibile osservare ciò che rimane del cortile e delle tre ali porticate un tempo costituenti il convento di San Bonaventura, edificio realizzato per i Padri Scolopi, che però non vi si stabilirono mai, e affidato nei decenni a seguire prima agli Agostiniani Scalzi e poi alla congregazione dei Servi di Maria, che se ne occupò fino al 1800.
Visitato anche quest'ultimo monumento e trascorso qualche momento di relax nell'accogliente area picnic adiacente al convento (una delle tante disseminate nella riserva!), non ci resta quindi che ripercorrere a ritroso la strada fatta finora e raggiungere il parcheggio da cui aveva avuto inizio la nostra passeggiata.

Veduta laterale del convento di San Bonaventura

Non tutti sanno che...
3 curiosità sul paese di Monterano

Se quello che vi ho raccontato fin qui non fosse ancora abbastanza per convincervi a visitare questo gioiellino dimenticato che è l'antico borgo di Monterano, sappiate inoltre che:

1) Le rovine dell'antica Monterano sono state scelte come set per i loro film da tantissimi registi italiani e stranieri (esiste addirittura un libro che raccoglie curiosità e note geografiche sulle varie pellicole girate da queste parti: lo trovate qui!).
La Chiesa di San Bonaventura, ad esempio, fu scelta come sfondo sia da Pier Paolo Pasolini, che vi ambientò alcuni frammenti de Il Vangelo secondo Matteo (1970), sia dal grande Mario Monicelli, che vi girò una delle scene più famose de Il Marchese del Grillo (1982), ovvero quella dell'incontro tra il ribelle Don Bastiano e il marchese Alberto Sordi, mentre a fare da comparsa nel romantico Ladyhawke (1985), uno dei miei film preferiti di sempre, sono l'acquedotto ed il palazzo ducale di Monterano.

Fotogramma di una scena di "Ladyhawke" girata al castello di Monterano
www.canalememoria.wordpress.com)

2) Secondo un'antica leggenda, tramandatasi fino ai giorni nostri grazie a due bassorilievi rinvenuti alla base dell’acquedotto, i cittadini di Monterano, non riuscendo a costruire, a causa dei forti venti, un ponte che permettesse loro di oltrepassare la gola alle porte della città, fecero un patto col diavolo: se Lucifero avesse costruito un ponte resistente e duraturo, loro avrebbero sacrificato in suo onore capre, buoi e vergini. Incredibilmente, in una sola notte, il ponte fu eretto solido e destinato a durare in eterno; gli abitanti della cittadina però, invece di offrire le carni degli animali in sacrificio, le utilizzarono per un lauto banchetto e come punizione per il loro gesto furono colpiti dalla malaria.

Il cosiddetto "Ponte del diavolo", al confine tra Manziana e Canale Monterano
www.lagone.it)

3) Canale Monterano fa parte dell'Associazione Nazionale Città del Pane, unione di 50 Comuni italiani interessati a promuovere il riconoscimento e la valorizzazione di tipologie specifiche di pane legate al proprio territorio (per il Lazio, gli altri Comuni facenti parte dell'associazione sono Monte Romano, Genzano di Roma e Priverno). Prima di ripartire, quindi, non dimenticate di fermarvi in uno dei tanti fornai sparsi per il paese: potrete assaggiare uno dei pani migliori della Tuscia!

Il famoso pane di Canale (© www.comune.canalemonterano.rm.it)

INFORMAZIONI PRATICHE:

Il sito dell'antica Manturanum è visitabile gratuitamente tutti i giorni dell'anno (per maggiori informazioni su visite guidate o altre attività in programma potete chiamare il numero 06/9962724 o inviare una mail a info@monteranoriserva.it).
Per chi viene da Roma, arrivarci è semplicissimo: basta infatti percorrere la via Cassia fino al bivio con la via Braccianese Claudia e, una volta giunti a Canale, imboccare la stradina a sinistra della piccola chiesa di Santa Maria Assunta in cielo seguendo le indicazioni per la Riserva Naturale fino a raggiungere uno dei due parcheggi liberi a disposizione (contraddistinti dai nomi Diosilla Monterano).
Volendo allungare un po' la passeggiata, considerata la distanza veramente irrisoria che separa entrambi i parcheggi dal sito, potete in alternativa fare così: lasciare l'auto in prossimità del Centro Informazioni situato di fronte al campo sportivo del paese e percorrere a piedi la strada asfaltata (poi viale alberato) che, attraversando la zona cosiddetta della "Palombara", conduce dritta sino al borgo abbandonato (si tratta di un percorso piuttosto breve, 20-25 minuti al massimo, ma che vi regalerà delle belle vedute sia sulle montagne che sugli uliveti che circondano Canale).
Per muovervi più agilmente all'interno della riserva, a questo link potete scaricarne una mappa abbastanza dettagliata. Buona escursione! 😊

Un tratto della strada che da Canale Monterano conduce al borgo abbandonato

2 commenti:

  1. Bei posti! Peccato che il paese sia lasciato così in degrado ... fontana del Bernini compresa! :( Pasolini ha girato un bel po' di film fuori dai grandi centri: guarda Matera, all'epoca era abbandonata a se stessa!
    Chissà se prima o poi ritornerò a visitare il Lazio! :)

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    1. In realtà, anche se dalle foto sembra tutto il contrario, la riserva non è affatto abbandonata, anzi, ci sono un sacco di pannelli che raccontano la storia dei vari monumenti e tutti i sentieri che la attraversano sono abbastanza ben segnalati! Credo che la bellezza del luogo stia proprio in questa sua apparente "fatiscenza": certo alcuni edifici potrebbero essere recuperati e valorizzati di più, ma nel complesso, secondo me, rimane comunque una delle aree protette più affascinanti che ci siano nei dintorni di Roma! Se dovessi ricapitare nel Lazio non lasciartela sfuggire! :-)

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